venerdì 10 giugno 2016

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Questo fine settimana ci sono due Festival, piccoli ma belli e io devo fare due cose: domani sera, Sabato, vado alla Scuola d'Arte del Castello per un incontro (qui i dettagli), assieme alla prode Patrizia Mandanici, è il Piccolo Festival dell'Arte Applicata. Domenica sera vado ad Orzinuovi, provincia di Brescia, dove mentre la band degli Ovlov (bravi questi Ovlov!) suonerà, farò dei disegnetti che verranno proiettati su uno schermo, è Tra le Nuvole, festival itinerante.

mercoledì 8 giugno 2016

Da qui, Ali.

















Avevo 9 anni.
Me lo ricordo bene quell'incontro di pugilato che davano alla tele in bianco e nero di casa. C'era un pugile fortissimo che dava addosso con incredibile potenza ad un altro un poco più alto, il quale si difendeva appoggiato alle corde, chiuso in una guardia attenta e agile. Questo per 8 round (se vi capita, non perdetevi "When we were kings", il bellissimo film che racconta quel match). All'ottavo round, improvvisamente, l'altro, il pugile con i calzoncini bianchi sembrò accendersi di un fulmineo furore e partì velocissimo all'attacco. Ancora oggi ricordo perfettamente l'espressione attonita di George Foreman, mentre, colpito, faceva una bizzarra, bellissima giravolta attorno all'arbitro e cadeva giù, al tappeto, ko.
L'altro era Cassius Clay.
Muhammad Ali, the Greatest, il più grande.
Davvero è stato il più grande e anche il più bello e il più simpatico. In uno sport durissimo, dominato da duri, ha dimostrato che grazia, velocità, intelligenza e coraggio, a volte vincono.
Nel 1996 ho pianto vedendolo ricevere la Medaglia d'oro che aveva vinto a Roma alle Olimpiadi del 1960 e poi smarrito. Era già malato di parkinson. Attorno a lui si fecero i campioni del Dream Team, la nazionale USA di basket. Un gruppo di ragazzi giganteschi che si congratulavano, scherzavano, abbracciavano quell'uomo fragile, in camicia rossa.
The Greatest.
Ciao Ali.